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ciambellone della nonna

{Tutti i nodi vengono al pettine}

Questa frase me la diceva sempre nonna, a seguito, ca va sans dire, dopo l’ennesima marachella; di qualsiasi natura e genere, grave gravissima o semplice sciocchezza, soleva guardarmi sottecchi  con tanta disapprovazione sia chiaro e sospirava profondamente con mera rassegnazione.

Come devo fare con te, era quello che seguiva dopo e sebbene la guardarsi con mortificazione, continuava a girarsi di spalle per accentuare la sua disapprovazione.

la cosa durava poco, è chiaro, ma quei momenti , sembravano essere davvero lunghissimi.

La nonna era un donnone , di quelli d’altri tempi, vestita sempre di abiti smanicati a fiori d’estate e vesti lunghe marroni o nere d’inverno, con su un grembiule multistagione con le tasche e l’immancabile fazzoletto nei capelli.

Credo non abbia indossato mai un pantalone, nemmeno quello dei pigiami, perchè la ricordo chiaramente, anche quando stava male, negli ultimi giorni della sua vita, in lunghe camicie da notte bianche, tutte finemente ricamate.

Quando si era sposata, aveva sposato tutta la famiglia del nonno, che con la loro longevità mediterranea, erano arrivati , ognuno di loro, a novant’anni tra suoceri, nonni e bisnonni .Tra gli uni e gli altri , raggiugevano i cinquecento anni come minimo! Un bel lavorone per una ragazzotta di paese!

era abituata a ben altro e i miei colpi di testa erano fastidiosi sicuramente, ma niente a confronto di quello che aveva attraversato durante tutta la sua vita.

Tra figli , suoceri, bisnonni, fratelli ,sorelle , cognate terribili ;

e la guerra, la fame, la carestia, il cibarsi di radici e rapeste raccolte nei terreni gelati di gennaio, il libretto per il pane e la pasta, le razzie delle camicie nere , i bombardamenti .

Ne aveva visto di cose per impressionarsi.

Aveva vissuto più di nove vite, più di quelle dei gatti e aveva affrontato tutto con una consapevolezza stoica ,sorniona a volte, talmente impegnata da non avere mai tempo per quelle cose semplici , quei piccoli vezzi , che spesso e volentieri venivano relegati come  sciocchezze,  con una forza e un dovere che oggi scatenerebbe l’ira della più accanita delle femministe.

le mie scappatelle, i litigi con le compagne, gli astucci rotti sulla testa della malcapitata, il vestito della domenica sporco d’erba,  probabilmente facevano parte di quelle insensatezze fastidiose ma non troppo, che andavano scuramente corrette, ma con un ammonizione leggera, fatta di mezzi musi e sorrisi malcelati.

Ma come è ovvio,  ogni persona di età adulta, che si supponga abbia raggiuto una certa maturazione, ha lo scopo  di educare e che probabilmente nella sua testa, magari, non lo fossi abbastanza.

Cose da nonni, mi verrebbe da dire!

E perché i nonni hanno questa cosa che ne sanno sempre una più di te e che insegnano anche quando non stanno tenendo una lezione.

Alla fine, il disappunto scemava lentamente, mentre con mani sapienti preparava questa o quella cosa e come segno di pace, la vedevo armeggiare a preparare qualcosa di buono.

“vieni accompagnami” la voce era tonante e ferma, come chi sa dare gli ordini meglio di un maresciallo e tu dovevi seguirla volente o nolente.

Ti portava in questo locale buio e freddissimo , che era un pò come l’antro nero della sibilla cumana e non piaceva a nessuno andarci, con la torcia in mano, a prendere dai sacchi quello che occorreva.

“Il vascio” era un’intercapedine della casa, senza finestre , dove conservava le sue cose. C’era una lucina troppo piccola che illuminava solo il primo tratto e che non dava la possibilità di vedere più in fondo.

Occorreva una torcia. ” e come facevi nonna senza la torcia?”

Allora si voltava e ti faceva vedere un lato del muro affianco all’uscio, dove era riposta ancora una candela ed un pacchetto di fiammiferi per accenderla e sul muro imbiancato a calce, ancora i segni dello sfregamento dei fiammiferi.

Nel sottoscala o vascio prendevamo quello che ci occorreva e si ritornava in cucina a preparare.

uova, farina, un poco di zucchero, del latte che si teneva fresco naturalmente 😅

e un blocco di cioccolato fondente tirato dal fondo di un cassettone, tenuto ben nascosto da tovaglie e asciugamani per non essere visto da sguardi indiscreti

😆😆😆😆😆😆😆😆😆

Era il cioccolato buono, quello che le aveva portato la commare da un viaggio a Milano, che non sapeva certo di cartone, come certi blocchi di cioccolato e surrogato che comprava al minimarket in paese.

E per tagliare questo blocco, tirava fuori il tagliere di legno e la mannaia e pure qualche santiata , soprattutto, quando d’inverno diventava più duro del cemento.

infine tirava fuori dalla credenza la pentola di alluminio dove lo avrebbe cotto, che lei chiamava forno di campagna.

Che poi ci stava tutta la denominazione di forno di campagna, era proprio in campagna che ci trovavamo, credo che non avrebbe potuto chiamarsi in nessun altro modo possibile.

una volta pronto, lo metteva a cuocere sulla  cucina economica, che era sempre accesa, da ottobre ad aprile ed era la fonte primaria dove si ci riscaldava e si cucinava.

Sui cerchi concentrici di ghisa c’era sempre una pentola con l’acqua , una con del cibo a cuocere e i panni stesi ad asciugare, che quando l’indossavi sapevano di pollo, ragù, soffritto e polpette!

😆😆😆😆😆😆😆😆😆😆😆😆😆

La cucina come fulcro di tutta la casa; ed era lì che la trovavi a fare l’uncinetto, dietro la porta a vetri piena di spifferi, intenta ad accendere il fuoco, mentre preparava la cena già alle due del pomeriggio.

❤❤❤❤❤❤❤❤❤❤❤❤

“cosa hai combinato oggi?”

Mi accoglieva sempre così e tutte le volte sospirava rassegnata.

E a qualsiasi mio racconto, mi guardava sconsolata e mi ripeteva la stessa frase:

Tutti i nodi vengono al pettine, lo sai vero?

e così mi è tornato alla mente prepotentemente, in uno di quei giorni da dimenticare, di quelli che hai combinato un guaio , ma che ancora non hai constatato la portata, ma che sai che l’hai fatta grossa.

Che poi, anche se sei (forse, probabilmente, magari un giorno) nell’età della pseudo maturità, ti succedono cose che non se non te le chiami tu, ti rincorrono inesorabili 🙄🙄😐😐😐

perchè a volte, pensando di fare bene, scegli senza riflettere e dopo ti trovi in una reazione a catena di conseguenze che ommiodio, se avessi scelto la strada peggiore a quest’ora sarebbe tutto risolto!

😣😣😣😣😣😣😣😣

A distanza di tanto tempo, sono balzata migliaia di ore indietro e adesso come allora, mi è salito quel senso di mortificazione e di sconforto.

{E si è vero, domani è un altro giorno, non si può certo essere felici per sempre, le disgrazie non vengono mai da sole, vedrai tutto si risolverà in qualche modo eccetera eccetera eccetera, ma in quel momento mi sono sentita veramente avvilita }

Ahhhh perchè mai è andato in quel modo e non in quell’altro?

Perchè mai mi sono infilzata in questa situazione?

Ma a tutte queste domande legittime,  che sanno tanto di lacrime farsa sul latte versato 😅😅😅😅😅😅😅😅 non so dare  risposta.

E allora mi è venuta in mente nonna, il fazzoletto in testa, il grembiule con le tasche piene di caramelle, lo sguardo severo mentre mi ammoniva per questa o quell’altra cosa.

Ho quindi girato un pò a perditempo ,ho sforzato le meningi  cercando una soluzione, ma l’unica cosa che mi è venuta in mente è fare una ciambella.

Esattamente come faceva mia nonna.

❤❤❤❤❤❤❤❤❤❤❤❤❤

quando Zaìni mi ha chiesto una ricetta che fosse un viaggio nei miei ricordi, qualcosa di così potente da riportarmi indietro nel tempo, non ho avuto dubbi, la ciambella della nonna era la ricetta giusta che mi facesse fare un balzo nel tempo in maniera così portentosa ed immediata.

Un viaggio nei ricordi ha sempre con se un bagaglio di profumi e preparazioni che hanno il potere di riportarti prepotentemente indietro nel tempo, in un viaggio emozionale senza pari.

Anche perchè mia nonna non è che faceva tutti ‘sti dolci, ne sapeva tre o quattro che preparava spesso, dapprima per la sua famiglia numerosa e dopo, per noi nipoti.

Spesso mi sono chiesta da dove arrivasse questa mia natura di combina guai, ma ovviamente, a parte una certa propensione ad avere idee malsane, non me lo so spiegare.

E’ carattere. Impetuoso e turbolento, come il mare d’inverno .

Nonna non ce l’ho più ormai per potermi affidare alla sua saggezza di donna forte e di campagna , ma ho conservato questa ricetta, tramandata oralmente a mia madre e poi passata come testimone a me.

La ricetta è semplice e soprattutto con ingredienti di facile reperibilità in tutti i frigoriferi del mondo.

I profumi sono quelli dell’inverno, arance fresche che io ho raccolto direttamente nel mio giardino e gocce di cioccolato fondente  in sostituzione delle scaglie ed in questo caso ,come licenza poetica , ho aggiunto anche quelle al cioccolato bianco, per aggiungere quel tocco in più,  da renderla ancora più irresistibile.

E anche se questa ciambella non ha sciolto tutti i nodi del pettine e non ha certo rischiarato la mente , ha certamente contribuito a dimenticare la brutta giornata trascorsa.

Alla fine ogni cosa andrà al suo posto , la soluzione amici miei, non è mai a portata di mano, è fatta di lunghi ragionamenti , di scuse sincere e di enormi passi indietro.

ovviamente fino al prossimo colpo di testa quantomeno 🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣.

La natura dei turbolenti, di quelli che hanno sempre qualcosa da dire, di quelli che celano poco e male la propria disapprovazione non è una cosa che si placa con una mossa sbagliata. Alle volte bisogna cadere per rialzarsi, ma questo non significa che non  si possa ricadere di nuovo.

E farsi male e ricominciare tutto daccapo.

Meno male che ci sono le nonne a farci ragionare ogni tanto, a riportarci sulla retta via, anche a distanza di molti anni, anche quando queste non ci sono più..

Sono certa che  scuoterebbe il capo, con quel suo fare mesto a farmi intendere che c’ha perso le speranze.

Ma per farmi perdonare ,oggi, le preparerei una ciambella.

Una casa ha bisogno di una nonna al suo interno” louisa may alcott

ciambellone della nonna nella pentola fornetto

in collaborazione con Zaini

ingredienti:

4 uova a temperatura ambiente

180 gr di zucchero

150 ml di succo d’arancia

la buccia grattugiata di un’arancia

80 ml di olio di semi

50 gr maizena

250 gr di farina 00

16 gr lievito per dolci

50 gr di gocce di cioccolato fondente zaini

50 gr di gocce di cioccolato bianco zaini

glassa:

150 gr di zucchero a velo

poche gocce di succo d’arancia

La cottura di questa torta avviene nella pentola fornetto o fornetto versilia o come la chiamava la nonna fornetto di campagna.

E’ una pentola di alluminio fornita di coperchio e piastra per diffondere il calore uniformemente.

Va accuratamente imburrata ed infarinata per far si che non attacchi durante la cottura.

Se non possedete una pentola fornetto, potete tranquillamente cuocere la vostra ciambella in uno stampo da forno questa dose è per un diametro da 25 cm in forno statico a 170° per circa 30 minuti (ovviamente fate sempre la prova stecchino e attenetevi alle modalità del vostro forno)

 

procedimento:

Imburrare ed infarinare bene la pentola fornetto o il vostro stampo a ciambella.

mettete le gocce di cioccolato (bianche e nere) dieci minuti in frigorifero ancora meglio se nel congelatore.

Montare le uova con lo zucchero finchè non diventano bianche e spumose.

Aggiungere a filo il succo d’arancia, la buccia e l’olio.

Amalgamare con una spatola ed aggiungere la farina , l’amido e il lievito setacciati insieme.

Mettete a riscaldare la piastra del fornetto sul diffusore più piccolo della vostra cucina a fiamma alta.

In ultimo, infarinate le gocce di cioccolato freddissime ed aggiungetele al composto aiutandosi con una spatola facendo movimenti delicati dal basso verso l’alto cercando di non smontare il composto.

Versate nella pentola fornetto livellare leggermente e posizionare il fornetto sulla piastra, portando la fiamma al minimo per i primi 15 minuti, dopodichè aumentate leggermente ma mai al massimo altrimenti non cuocerebbe in modo uniforme, rischiando di rimanere cruda all’interno e bruciata esternamente.

La cottura in pentola fornetto è di circa 35/40 minuti, ma a metà cottura, alzate il coperchio e verificatene la consistenza co uno stecchino.

Una volta cotta lasciatela raffreddare qualche minuto.

Capovolgetela poi delicatamente su di una gratella e attendete che si stacchi.

Una volta fredda trasferitela delicatamente su di un piatto da portata .

Preparate una glassa leggerissima con lo zucchero a velo miscelato con poche gocce di succo d’arancia e completate la vostra torta.

La ciambella della nonna è pronta per essere servita.

 

Ringrazio zaini per avermi dato l’assist perfetto per poter condividere con voi un ricordo della mia nonna, che a tanti anni dalla sua scomparsa , è per me sempre una figura importantissima.

Alla mia nonna, che nel nostro breve tempo insieme, mi ha insegnato più di quanto credesse.

 

 

 

 

 

 

 

 

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